Peer-to-peer lending: tutto quello che devi sapere

peer-to-peer lending

Peer-to-peer lending – spesso abbreviato in P2P lending – è una delle diciture con cui si parla di lending crowdfunding. Descrive quel meccanismo che permette a imprese e professionisti di ottenere un prestito attraverso una piattaforma online e a una pluralità di persone di investire piccole o grandi somme ricevendo un interesse in cambio. 

In questo articolo, oltre a spiegare perché esistono definizioni diverse (peer-to-peer lending, lending crowdfunding, social lending), vogliamo riepilogare come funziona, quali vantaggi e rischi comporta e come si inserisce nella normativa europea ECSP, oggi il riferimento principale per chi opera online nel settore del credito alternativo alle imprese.

Cos’è il peer-to-peer lending e perché viene chiamato anche lending crowdfunding

Il peer-to-peer lending è un modello proposto per la prima volta nel 2005 nel Regno Unito dal portale Zopa come prestito tra privati cittadini mediato da una piattaforma online. È un modello che elimina l’intermediazione bancaria tradizionale e permette alle persone di prestarsi denaro reciprocamente, suddividendo il rischio e ricevendo un interesse in cambio. In Europa questo modello consumer ha fatto da apripista a un’evoluzione più ampia: i prestiti alle imprese finanziati da una moltitudine di investitori privati.

Con questa evoluzione si è affermato anche un secondo termine, lending crowdfunding, oggi il più corretto tra i due nel contesto normativo europeo. I due concetti convivono perché descrivono fasi diverse della stessa storia.

Origine: il peer-to-peer lending come prestito tra privati cittadini

Il primo vero modello di peer-to-peer lending è nato nel Regno Unito con piattaforme come Zopa (2005), che hanno introdotto un concetto innovativo: permettere a privati cittadini di prestare denaro ad altri privati senza passare da una banca, con la piattaforma nel ruolo di intermediario tecnologico e valutatore del rischio.

Il funzionamento era semplice:

  • un privato chiedeva un prestito per spese personali;
  • la piattaforma verificava reddito, storico creditizio e affidabilità;
  • decine o centinaia di investitori finanziavano una quota del prestito;
  • ciascun investitore riceveva una parte degli interessi.

Social lending” è un’espressione nata per descrivere le prime forme di prestito online tra persone, in cui l’elemento “sociale” era centrale: la piattaforma metteva in contatto privati cittadini che desideravano prestare o chiedere denaro secondo una logica collaborativa, spesso percepita come più “umana” e meno burocratizzata rispetto al credito bancario tradizionale.

In Italia questo modello oggi è quasi scomparso: le principali piattaforme di peer-to-peer lending o lending crowdfunding consumer sono state acquisite da soggetti bancari e integrate nei loro sistemi di credito. Il risultato è che il peer-to-peer lending nella sua forma originaria è ormai un fenomeno residuale nel mercato italiano, come riporta l’ultimo report dell’Osservatorio Crowdinvesting del Politecnico di Milano.

L’evoluzione: il P2P lending esteso alle imprese

Dal modello originario C2C si è sviluppato un secondo filone, oggi dominante: prestiti da investitori privati a imprese, soprattutto PMI.

Qui la logica è simile ma cambia il soggetto richiedente:

  • richiedente: un’impresa che necessita di capitale per i più svariati obiettivi (flussi di cassa, ristrutturazione del debito, progetti specifici ecc.);
  • investitori: privati che finanziano la richiesta ricevendo un interesse;
  • piattaforma: analizza bilanci, flussi di cassa, rating di rischio, tempi di rimborso per stabilire la sostenibilità, il livello di rischio e il tasso di interesse dell’operazione.

Questa estensione ha avuto un impatto decisivo:

  • ha aumentato il volume medio dei progetti;
  • ha permesso di finanziare iniziative imprenditoriali non servite o servite lentamente dal canale bancario;
  • ha trasformato il P2P lending in un vero strumento di finanza alternativa per le imprese.

Oggi, per la quasi totalità del mercato italiano ed europeo, quando si parla di peer-to-peer lending si fa riferimento a questa forma “business”.

Il passaggio al concetto di lending crowdfunding

Con la crescita del settore, il termine peer-to-peer lending è diventato troppo stretto per descrivere la varietà di modelli e di rapporti esistenti. Per questo si è imposto un nuovo concetto più coerente con la logica del crowdfunding:

lending crowdfunding = raccolta di capitali sotto forma di prestito da parte di una moltitudine di investitori (crowd) nei confronti di un’impresa o un individuo.

L’espressione “lending crowdfunding”, inoltre, permette di ricondurre più agevolmente questa forma di prestito all’alveo degli altri strumenti di finanza alternativa che si basano sulla raccolta di capitali online: equity e reward crowdfunding (a cui potremmo aggiungere debt crowdfunding, dicitura che però si usa poco per parlare del collocamento di Minibond). La parola chiave “crowdfunding” accomuna, così, tutti questi strumenti e ne facilita la comprensione al pubblico.

Ma anche la regolamentazione. Il Regolamento ECSP, infatti, parla in generale di “crowdfunding” come “finanza alternativa per le start-up e le piccole e medie imprese (PMI)” che può assumere “la forma di prestiti o di emissione di valori mobiliari o di altri strumenti ammessi”.

Nella normativa, quindi, la dicitura corretta diventa ancora più generica: “crowdfunding basato sul prestito”.

Gli operatori, comunque, oggi sono concordi nell’utilizzare la forma “lending crowdfunding”.

Come funziona il peer-to-peer lending in pratica

Il peer-to-peer lending può funzionare in due modi diversi, a seconda del soggetto che richiede il prestito: impresa o individuo. La struttura tecnica della piattaforma è simile, ma cambiano le logiche operative, i criteri di valutazione e gli ambiti di utilizzo. Distinguere chiaramente i due modelli aiuta a capire l’evoluzione del settore e le opportunità disponibili oggi.

Come funzionava il p2p lending originario o lending crowdfunding consumer

Il modello originario del peer-to-peer lending era quello del credito da privati a singoli individui, in cui persone fisiche finanziano altre persone fisiche attraverso una piattaforma online. Come funziona?

Un privato cittadino chiede un finanziamento per esigenze personali (es. acquisto, liquidità, ristrutturazione, spese mediche, spese di studio). Per poter richiedere un prestito è necessario essere maggiorenni e avere un reddito dimostrabile.
Il processo prevede:

  • Registrazione e verifica dell’identità (procedure antiriciclaggio e KYC).
  • Analisi del profilo creditizio tramite storico dei redditi, affidabilità, eventuali segnalazioni.
  • Attribuzione di un rating che determina il tasso d’interesse.
  • Pubblicazione della richiesta sulla piattaforma, visibile agli investitori.

Gli investitori registrati sulla piattaforma possono finanziare una parte del prestito. Il beneficiario rimborsa il prestito con un piano rateale comprensivo di interessi.

Come funziona il p2p lending da privati a imprese o lending crowdfunding business

La maggior parte del peer-to-peer lending europeo (e praticamente tutto quello italiano) riguarda oggi prestiti da privati cittadini a imprese, soprattutto PMI.

Il processo è più articolato rispetto al modello consumer:

  1. Invio della candidatura del progetto tramite la piattaforma.
  2. Analisi del rischio basata su bilanci, indici finanziari, settore di attività, indebitamento, flussi di cassa.
  3. Attribuzione del rating tramite algoritmi interni e valutazioni qualitative.
  4. Pubblicazione del progetto nella vetrina della piattaforma, con documentazione dettagliata.

Gli investitori finanziano l’impresa con una quota del capitale richiesto e ricevono in cambio degli interessi, oltre alla restituzione del capitale.

Il rimborso può avvenire secondo due modelli:

  • ammortamento rateale (capitale + interessi ogni mese);
  • bullet (interessi periodici e capitale a scadenza).

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Vantaggi del peer-to-peer lending 

Il peer-to-peer lending per gli investitori rappresenta una forma alternativa di investimento con rendimenti potenzialmente più elevati rispetto ai prodotti bancari tradizionali; per le imprese è un canale di accesso al credito rapido, flessibile e spesso più semplice rispetto al sistema bancario. 

Chi utilizza il  lending crowdfunding come strumento di investimento trova alcuni elementi di interesse molto specifici:

  • Rendimenti potenzialmente superiori ai depositi bancari e ai prodotti obbligazionari: il tasso è proporzionato al rischio del progetto e risulta in media più competitivo rispetto ai prodotti di risparmio tradizionali.
  • Accesso con importi contenuti: è possibile investire a partire da cifre ridotte.
  • Diversificazione: investendo piccole quote in vari progetti si riduce l’impatto di eventuali insolvenze.
  • Agevole controllo: l’investitore sceglie i progetti, consultando il rischio e la durata dell’investimento.
  • Trasparenza delle condizioni: la normativa ECSP richiede informazioni standardizzate che rendono più facile confrontare proposte diverse.

Uno dei punti di forza del P2P lending rispetto ad altre asset class è proprio la possibilità di creare un portafoglio estremamente granulare, adattabile al profilo di rischio personale.

Per un’impresa, accedere al peer-to-peer lending significa utilizzare un canale di finanziamento complementare (o alternativo) al sistema bancario. Le motivazioni principali sono cinque:

  • Rapidità di ottenimento del capitale: le selezioni delle piattaforme e le campagne di crowdfunding sono spesso più veloci rispetto ai tempi bancari.
  • Accesso a risorse anche in assenza di garanzie tradizionali: il modello di valutazione è spesso più flessibile rispetto alle logiche del credito bancario.
  • Nessuna cessione di quote societarie: a differenza dell’equity crowdfunding, l’impresa non diluisce il capitale.
  • Possibile complementarità con altre forme di raccolta: il lending può essere integrato in una strategia più ampia che include altri strumenti finanziari alternativi, ma anche le fonti tradizionali.

Per molte PMI il lending crowdfunding è un modo per finanziare cicli di crescita, ampliamento della produzione o esigenze di capitale circolante senza ricorrere al debito bancario tradizionale.

Rischi e limiti del peer-to-peer lending

Il peer-to-peer lending è uno strumento utile e accessibile, ma comporta rischi come tutti gli strumenti finanziari. Comprenderli permette di valutare se questo strumento è adatto al proprio profilo e di adottare strategie di tutela più efficaci. Per un’impresa che vuole fare crowdfunding, è utile anche conoscere i rischi dal punto di vista degli investitori, per mettersi nei panni dei propri interlocutori e offrire una proposta davvero appetibile.

Gli investitori sono esposti principalmente a due categorie di rischio.

1. Rischio di insolvenza del debitore

È il rischio più evidente: l’impresa o il privato che ha ricevuto il prestito potrebbe non riuscire a rimborsarlo. Anche con sistemi di rating accurati, l’insolvenza non può essere eliminata. 

2. Scarsa liquidità dell’investimento

Il capitale investito resta vincolato fino alla scadenza del prestito. A differenza di altri strumenti finanziari, non esiste per ora un mercato secondario sviluppato per rivendere il credito, quindi in caso di necessità, uscire prima della scadenza è complesso o impossibile.

Più variegati, invece, sono i rischi per le imprese.

1. Rischio reputazionale

Un ritardo nei pagamenti o un mancato rimborso può danneggiare la reputazione dell’azienda, esponendola a conseguenze negative nei rapporti con clienti, fornitori e futuri investitori.

2. Costi consistenti

A seconda del rating assegnato dalla piattaforma, il tasso potrebbe risultare eccessivamente elevato se l’impresa è percepita come rischiosa. In generale, il tasso medio è più alto rispetto a quello del canale bancario, perché le barriere all’ingresso sono inferiori e l’operazione è più rapida.

3. Trasparenza obbligatoria

Il lending crowdfunding richiede una significativa quantità di informazioni pubbliche e verificabili.

4. Vincolo temporale rigido

Il piano di rimborso deve essere rispettato senza flessibilità: non è possibile “rinegoziare” la scadenza come avviene talvolta con un istituto bancario.

Tassazione del peer-to-peer lending: una criticità italiana

La tassazione del peer-to-peer lending è uno degli aspetti più rilevanti e critici per chi investe in Italia. In Italia il regime fiscale applicato ai rendimenti del lending crowdfunding è poco competitivo rispetto a quello di altri Paesi europei. Il motivo non è solo l’aliquota relativamente elevata, ma anche il modo in cui il sistema fiscale tratta le eventuali perdite, che non possono essere compensate come avviene in altri strumenti finanziari.

Comprendere il quadro fiscale è fondamentale per valutare il rendimento netto e per capire perché in Italia il lending crowdfunding riscuota molto meno successo rispetto al resto d’Europa.

Gli interessi percepiti attraverso piattaforme autorizzate sono considerati redditi di capitale e andrebbero tassati con una ritenuta alla fonte del 26%. In teoria, quindi, ogni volta che l’investitore riceve una quota di interesse, la piattaforma trattiene automaticamente il 26% e versa l’imposta allo Stato. L’investitore riceve quindi un rendimento netto già decurtato della ritenuta.

Tuttavia, non tutte le piattaforme hanno l’autorizzazione a operare come istituti di pagamento o intermediari finanziari, quindi molte non possono fare da sostituto d’imposta, perché sono autorizzate come fornitori di servizi di crowdfunding e non hanno una struttura contabile e un’infrastruttura tecnologica idonea a rispettare gli altri adempimenti richiesti. In questo caso, devono affidarsi a istituti di pagamento esterni oppure lasciare agli investitori la responsabilità fiscale.

Se la piattaforma non può applicare la ritenuta a titolo di imposta del 26%, l’investitore viene soggetto a una ritenuta alla fonte a titolo di acconto e deve dichiarare gli interessi nella dichiarazione dei redditi come “interessi su mutui o depositi”, con le relative regole fiscali che prevedono l’assoggettamento alla normale aliquota IRPEF.

Non solo possono aumentare i costi a seconda del proprio scaglione IRPEF, ma aumenta anche la burocrazia. E poiché la maggior parte delle piattaforme italiane non sono intermediari finanziari o istituti di pagamento, si crea un contesto sfavorevole per il lending crowdfunding: un’iniquità normativa che le piattaforme chiedono a gran voce all’Agenzia delle Entrate di sanare.

Un altro punto debole della normativa italiana riguarda il modo in cui vengono trattate le perdite.
A differenza di altri strumenti finanziari:

  • le perdite su prestiti P2P non sono considerate minusvalenze,
  • e quindi non possono essere compensate con altri redditi di capitale o diversi.

Questo genera due problemi principali:

1. Se un prestito va in default, l’investitore perde il capitale senza alcun beneficio fiscale

Non esiste un meccanismo che consenta di recuperare fiscalmente una parte della perdita.

2. Le somme recuperate dopo un default sono tassate di nuovo

Se una procedura di recupero crediti incassa una parte del prestito:

  • la somma recuperata viene nuovamente tassata,
  • nonostante derivi da capitale già tassato in precedenza (attraverso gli interessi).

L’aliquota del 26%, quindi, non sarebbe elevatissima in assoluto, ma diventa penalizzante se combinata con l’impossibilità di molte piattaforme di applicarla e l’impossibilità per gli investitori di compensare le perdite.

Per questo motivo, per un’impresa italiana che voglia fare lending crowdfunding, è interessante valutare l’opportunità di fare crowdfunding all’estero.

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