Falsi miti sul crowdfunding

falsi miti crowdfunding

Le attività e i fenomeni online tendono a diventare oggetto di falsi miti, luoghi comuni e perfino complotti sin dalla nascita e diffusione del web. Questa tendenza non è venuta meno con il tempo e la dimestichezza che abbiamo acquisito su Internet né con il moltiplicarsi delle attività imprenditoriali e commerciali online. Anche i falsi miti sul crowdfunding sono spuntati come funghi nei primi anni dello sviluppo di questo fenomeno e fanno fatica a morire. Per questo, alcuni dubbi e domande ricorrono sempre in chi si avvicina a questo mondo: nell’articolo sulle FAQ sul crowdfunding abbiamo risposto a quelli più diffusi.

Il web, soprattutto per chi ha iniziato a padroneggiarlo tardi e ancora fatica, come gli italiani, è un luogo che non si vede, dove può entrare chiunque, dove quasi chiunque può fare quasi quello che vuole, dove è difficile controllare e avere il controllo, quindi suscita diffidenza. In un angolo dell’immaginario collettivo, Internet è ancora uno strumento per chi non ce la fa nella “vita reale”. Se poi ci sono di mezzo soldi e transazioni economiche, sia la diffidenza sia lo stigma si amplificano.

Ecco perché è ancora necessario scrivere un articolo per sfatare i falsi miti sul crowdfunding, dopo più di dieci anni dalla comparsa di questo strumento nel nostro Paese. 

Il crowdfunding è per “i piccoli”

Il primo falso mito sul crowdfunding e forse il più duro a morire è che sia “un gioco per bambini”. Fuor di metafora, un’attività per startup che devono fare pratica prima di entrare nel mondo “dei grandi”, che per il momento viene loro precluso.

Questo mito nasce dall’errata convinzione che il crowdfunding sia semplicemente un’alternativa al finanziamento di una banca o di un fondo di investimento per raccogliere capitali. Chi può, ovvero “i grandi”, che sanno come funziona e hanno una solida credibilità, va da questi soggetti istituzionali e/o autorevoli, nonché ben riconoscibili, tramite procedure note a tutti e passando per uffici fisici dalle sedie imbottite. I più piccoli, invece, non possono accedere a questo mondo e devono “accontentarsi” di un surrogato depotenziato come il crowdfunding.

Tutto ciò è falso perché il crowdfunding è un’operazione di natura diversa dal mero finanziamento o ingresso di nuovi capitali: è un’operazione di marketing, che qualsiasi impresa può fare per acquisire nuovi clienti, aprire un nuovo progetto, rilanciare l’immagine aziendale, farsi strada in nuove nicchie, guadagnare competitività, cogliere nuove opportunità di business, costruire una vera e propria community e solo infine raccogliere capitali.

Questi sono vantaggi utili per tutti, non solo per le startup o in generale le società giovani. Scegliere il crowdfunding non significa necessariamente e solo essere in difficoltà, essere inesperti, avere meno potenzialità di altri, non essere “abbastanza”, non avere alternative: fare crowdfunding spesso è una scelta consapevole e meditata nell’ambito di una strategia di crescita ben precisa, capace di sfruttare tutti gli strumenti a disposizione senza pregiudizi.

Un esempio di grande impresa che ha compreso le potenzialità del crowdfunding è Edison, che lo ha utilizzato per coinvolgere comunità locali nella produzione di energia rinnovabile.

Fare crowdfunding ha un alto rischio di “fregatura”

Questo è un falso mito che coinvolge sia le aziende, sia i potenziali investitori.

Le operazioni online generano sempre questo tipo di diffidenza:

  • chi si occupa della gestione dei soldi?
  • e se poi i miei soldi spariscono?
  • ci sono clausole nascoste che prevedono costi aggiuntivi?
  • chissà quanta burocrazia…

La tutela degli investitori non è in discussione: in Italia le autorità finanziarie (nello specifico Consob e Banca d’Italia) sono sempre state molto prudenti e attente sui temi della trasparenza e dei diritti degli investitori nell’equity crowdfunding, e il Regolamento Europeo sul Crowdfunding ha aumentato le tutele già esistenti e le ha estese anche al lending crowdfunding. Solo le piattaforme autorizzate possono erogare servizi di crowdfunding e sono sottoposte a una rigida vigilanza: gli investimenti su tali piattaforme sono completamente sicuri e tutte le condizioni sono facilmente accessibili.

Le imprese stesse devono occuparsi di veicolare ai potenziali investitori tutte le informazioni sul funzionamento e sulla sicurezza del crowdfunding, così come sui rischi. Qualsiasi investimento, infatti, espone a un rischio.

Anche per le società non ci sono pericoli se ci si rivolge a una piattaforma di crowdfunding autorizzata: le regole sono molto chiare, la gestione delle transazioni e dei depositi di denaro è affidata a soggetti terzi, le fee vengono dichiarate all’inizio del rapporto e non sono previsti altri costi extra, salvo attività concordate e contrattualizzate. La sensazione di “fregatura”, molto spesso, nasce in quelle società che hanno iniziato a fare una campagna di crowdfunding pensando che fosse praticamente gratis, tolte le commissioni della piattaforma: attività, pubblicità, software e risorse umane hanno dei costi. Saper stimare in anticipo quanto costa fare crowdfunding aiuta a evitare queste delusioni.

La burocrazia c’è, sì, quella è inevitabile. Ma non è superiore a quella necessaria per chiedere un prestito in banca e le tempistiche, peraltro, sono mediamente molto più rapide. Business plan, documento d’offerta e aumento di capitale, statuto societario, analisi del merito creditizio sono i documenti di cui ci si deve occupare più spesso per fare crowdfunding.

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Il crowdfunding è per investitori esperti

Molte imprese che si avvicinano al crowdfunding sono convinte di dover andare a cercare capitali da grandi esperti di finanza e investitori professionisti o trader incalliti.

In realtà il crowdfunding è uno strumento accessibile a tutti: il questionario MiFid è lo stesso che chiunque voglia investire in qualsiasi altro strumento finanziario deve compilare. Quindi ovviamente ci vuole una base di conoscenza dei meccanismi degli investimenti, soprattutto perché è importante la consapevolezza dei rischi.

Ma al di là di queste basi – che si acquisiscono piuttosto in fretta –, il crowdfunding non è più complicato di altri tipi di investimenti, anzi: le piattaforme di crowdfunding offrono procedure di investimento guidate e semplificate rispetto ai portali di trading o ai conti titoli bancari. Per di più, non si tratta di investimenti in astratti titoli finanziari descritti da numeri e sigle, bensì di investimenti in economia reale, in imprese che mettono la propria faccia (oltre che il proprio business plan) direttamente nella pagina della proposta, in progetti tangibili e realmente conoscibili.
Ecco perché si parla di crowd-funding: perché ci si può – e ci si deve – rivolgere alla folla, non a piccole nicchie di investitori professionisti. Nello specifico, i migliori investitori sono i clienti o potenziali tali.

Fare crowdfunding fa perdere il controllo della società

Grande classico dei falsi miti sul crowdfunding, riguarda in particolare la tipologia equity. Il concetto di aprire la società all’ingresso di tanti nuovi soci spaventa molti imprenditori, che temono di perdere il loro potere decisionale e direttivo, per di più a vantaggio di investitori spesso inesperti o comunque non professionisti.

In realtà, questo problema non sussiste: basta approfondire come si fa nella pratica una campagna di equity crowdfunding dal punto di vista tecnico e burocratico.

La vendita di quote societarie tramite una campagna di equity crowdfunding (ma anche in generale) prevede la definizione preliminare delle tipologie di quote da cedere: 

  • quote associate a diritti sia patrimoniali sia amministrativi
  • quote associate ai soli diritti patrimoniali
  • quote “miste” (per esempio con limitato diritto di voto).

Le tipologie di quote vanno previste con apposite clausole da inserire nello statuto societario, con ampia possibilità di personalizzazione a seconda delle esigenze dell’azienda. Esistono comunque dei limiti di legge da conoscere, per esempio i soci senza diritto di voto non possono rappresentare più del 50% del capitale sociale.

Un’altra clausola statutaria utile per tutelare il controllo della società da parte dei founder è il diritto di trascinamento (o drag along), ovvero il diritto del socio di maggioranza di vendere anche le quote dei soci di minoranza alle stesse condizioni proposte per le proprie, senza chiedere il consenso.

Non solo: si possono utilizzare anche diversi strumenti per facilitare la gestione dei soci, per esempio la creazione di un veicolo societario in cui includere tutti i soci provenienti dal crowdfunding per avere un solo soggetto interlocutore. Insomma, come sempre, i falsi miti si superano con lo studio e la conoscenza. Esistono anche società di consulenza specializzate in questi temi.

Il re dei falsi miti sul crowdfunding: fare crowdfunding significa mettere online un progetto

Se i falsi miti elencati finora avevano l’effetto di trattenere le imprese dal fare crowdfunding, quello che ci apprestiamo a descrivere ha invece l’effetto opposto. Credere che fare crowdfunding significhi semplicemente mettere online una bella pagina di presentazione di un progetto è l’equivoco che spinge a farlo anche chi magari non dovrebbe (per sapere se sei fra questi, leggi l’articolo su come capire se un progetto è adatto al crowd).

Ormai dovremmo averlo imparato: online, esserci non basta. Se è vero che le piattaforme di crowdfunding sono vetrine privilegiate, perché difficilmente un’azienda vi troverà un proprio competitor esattamente nello stesso periodo della sua campagna, questo non inficia la verità dell’assunto appena espresso.

Essere online con la pagina del progetto sulla piattaforma di crowdfunding, una landing page esteticamente attraente e qualche post sui social non è sufficiente a emergere dalla quantità di materiale che lotta ogni giorno per spartirsi l’attenzione degli utenti. 

Non si applica la teoria dei grandi numeri per cui fra le schiere di investitori che cercano opportunità online qualcuno prima o poi sceglierà di sicuro una qualsiasi campagna di crowdfunding (perché non esiste questa categoria di investitori!). 

Non si può contare sulla pubblicità delle piattaforme, perché queste ultime non hanno il ruolo di sponsorizzare le singole campagne in modo mirato.

Fare crowdfunding è un lavoro. Superare questo falso mito del successo facile e dedicare il tempo e le risorse necessari alla ricerca di investitori è il primo passo per farlo bene.

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