Chi può emettere Strumenti Finanziari Partecipativi

emettere strumenti finanziari partecipativi

Gli Strumenti Finanziari Partecipativi (SFP) sono uno strumento per la raccolta di capitali alternativo ai classici aumenti di capitale, ai prestiti bancari e anche al crowdfunding. Ancora poco conosciuti in Italia, si basano sul modello del S.A.F.E, un tipo di contratto di investimento di origine statunitense, e offrono flessibilità operativa e interessanti opportunità sia per le imprese sia per gli investitori. Ne abbiamo parlato nel nostro articolo generale sugli SFP: oggi approfondiamo chi può emettere Strumenti Finanziari Partecipativi in base all’attuale contesto normativo e quando è utile prenderli in considerazione per raccogliere capitale.

Cosa sono gli Strumenti Finanziari Partecipativi e come funzionano

Per rendere più agevole la comprensione del tema di questo articolo, partiamo con un breve riassunto di cosa sono gli SFP e come funzionano.

Gli SFP sono strumenti finanziari ibridi introdotti per la prima volta nell’ordinamento italiano con la riforma del diritto societario del 2003. Tale riforma mirava, tra le altre cose, a dotare le società di capitali di strumenti di finanziamento più flessibili e capaci di attrarre investimenti, superando la rigidità delle forme tradizionali di raccolta.

L’art. 2346, comma 6 del Codice civile introdotto da quella riforma disponeva che: “resta salva la possibilità che la società, a seguito dell’apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o servizi, emetta strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell’assemblea generale degli azionisti”.

Questa è un’ottima definizione di cosa sono gli SFP e della loro natura ibrida, perché evidenzia la possibilità di raccogliere capitali, ma anche beni, servizi o prestazioni professionali, purché suscettibili di valutazione economica, in cambio di titoli che non costituiscono né quote di partecipazione né obbligazioni in senso stretto. Questi apporti non sono considerati capitale sociale, bensì patrimonio netto della società.

Uno SFP può riconoscere vari tipi di diritti patrimoniali e/o amministrativi che lo avvicinano a un’azione o a un’obbligazione, ma non ha un contenuto standard, perché esso viene stabilito dal singolo statuto sociale e dal singolo regolamento di emissione stilati dall’azienda:

  • può attribuire diritti patrimoniali (partecipazione agli utili, liquidazione, dividendi, remunerazioni periodiche);
  • può prevedere diritti amministrativi limitati (ad es. diritto di informazione, diritto di veto su alcune operazioni straordinarie, il diritto di voto su specifiche materie in assemblee speciali, ma mai il diritto di voto nell’assemblea generale degli azionisti);
  • può essere convertibile successivamente in quote o azioni vere e proprie.

Proprio per questa flessibilità, gli SFP vengono spesso definiti “strumenti su misura”, adattabili agli obiettivi dell’impresa e al tipo di rapporto che si vuole instaurare con i finanziatori, ma anche alla fase di sviluppo in cui ci si trova.

Un’azienda, quindi, può inserire nel proprio statuto la possibilità di emettere Strumenti Finanziari Partecipativi e utilizzarla per costruire contratti di investimento o di prestazione d’opera personalizzati in cui vengono offerti a investitori e/o collaboratori selezionati e strategici diritti amministrativi e/o patrimoniali specifici e diversificati, più sbilanciati verso l’equity o verso il debito a seconda delle necessità.

Qualora la remunerazione sia interamente o prevalentemente legata ai risultati della società e non sia previsto un obbligo di rimborso incondizionato dell’apporto, gli SFP assumono le caratteristiche strumenti equity. Al contrario, se prevedono una remunerazione fissa e un chiaro obbligo di rimborso a scadenza, si assimilano a strumenti di debito. In mezzo, ci sono tante configurazioni intermedie che le aziende possono esplorare.

Chi può emettere Strumenti Finanziari Partecipativi: il quadro normativo

Dal punto di vista normativo, gli SFP sono regolati principalmente dal Codice Civile, nel quale sono stati introdotti a partire dal 2003, come abbiamo già detto. Inizialmente l’opportunità era riservata alle S.p.A, poi è stata riconosciuta in via analogica anche alle S.r.l., purché siano startup o PMI innovative (Decreto Crescita 2.0 del 2012 e Investment Compact del 2015).

Anche imprese giovani, con limitata liquidità iniziale, possono così attrarre capitali, competenze e servizi offrendo in cambio una partecipazione ai risultati futuri senza appesantire la struttura finanziaria con debiti o diluire immediatamente la compagine sociale.

A oggi, quindi, possono emettere Strumenti Finanziari Partecipativi in Italia le S.p.A e le S.r.l., ma anche le società cooperative con alcune limitazioni specifiche.

Le società di persone e i liberi professionisti ne sono invece esclusi, in quanto la disciplina degli SFP è strettamente connessa al diritto societario delle società di capitali.

Affinché possano emettere SFP, le società devono rispettare ulteriori condizioni:

  • Avere uno statuto societario che lo consenta
  • Deliberare l’emissione in assemblea dei soci
  • Specificare in statuto i diritti incorporati negli strumenti.

Con il Regolamento ECSP, inoltre, gli Strumenti Finanziari Partecipativi si possono emettere anche su piattaforme di crowdfunding autorizzate, semplificando il processo e il collocamento. Prima, invece, potevano essere collocati solo tramite trattative private e dirette con gli investitori.

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Quando conviene emettere SFP e per quali tipologie di imprese

L’emissione di Strumenti Finanziari Partecipativi può risultare strategica in diversi scenari e per diversi obiettivi.

Diversificazione delle fonti di finanziamento e rafforzamento patrimoniale

Si possono utilizzare gli SFP per diversificare le fonti di finanziamento e raccogliere capitali da una platea più ampia di investitori, inclusi business angel, fondi di venture capital, dipendenti e partner strategici, senza necessariamente dover affrontare un immediato aumento del capitale sociale nominale che comporterebbe una diluizione diretta delle partecipazioni dei soci esistenti.

Gli apporti derivanti dalla sottoscrizione di SFP, non essendo imputati al capitale sociale, confluiscono generalmente in apposite riserve del patrimonio netto. Questo meccanismo comporta un rafforzamento della struttura patrimoniale dell’impresa, migliorandone potenzialmente gli indici di bilancio (ad esempio, il rapporto tra patrimonio netto e indebitamento) e la capacità di attrarre ulteriori finanziamenti, sia di debito sia di rischio. 

Strumento per il Work for Equity e l’Incentivazione

Gli SFP sono un mezzo efficace per implementare meccanismi di work for equity e per incentivare diverse figure chiave per lo sviluppo dell’impresa. La possibilità di emettere SFP a fronte dell’apporto di opere, servizi, know-how o altre prestazioni professionali è esplicitamente prevista dalla normativa.

Questa caratteristica è di fondamentale importanza soprattutto per le startup e le PMI in fase di crescita, che spesso dispongono di limitata liquidità ma necessitano di competenze specialistiche (sviluppo tecnologico, marketing, management) per decollare. Offrire SFP (spesso convertibili in quote/azioni) in cambio di tali prestazioni permette di attrarre e fidelizzare talenti, consulenti o partner strategici, allineando i loro interessi con quelli della società.

L’assegnazione di SFP ai dipendenti come forma di remunerazione variabile e partecipativa, infine, può contribuire a un più forte commitment da parte dei collaboratori, trasformandoli in veri e propri partner e influenzando positivamente la cultura aziendale.

Posticipazione della valutazione

Un aspetto di particolare rilievo, soprattutto per le imprese in fase early-stage, è la possibilità di utilizzare gli SFP per raccogliere capitali senza dover definire immediatamente una valutazione pre-money della società. La determinazione del valore effettivo della partecipazione dell’investitore (e quindi il numero di azioni/quote che riceverà) può essere posticipata a un momento futuro, tipicamente coincidente con un successivo round di finanziamento condotto da investitori istituzionali, o al verificarsi di altri eventi significativi (per es. il raggiungimento di determinati obiettivi di sviluppo o fatturato).

È un meccanismo che può allineare più efficacemente gli interessi di fondatori e investitori early-stage in contesti di elevata incertezza, riducendo il rischio di contenziosi o di valutazioni penalizzanti per una delle parti che potrebbero compromettere la crescita futura dell’impresa.

Grazie alla loro versatilità, gli SFP possono trovare applicazione anche in contesti finanziari sofisticati, per esempio: 

  • Gli investitori istituzionali in capitale di rischio, come i fondi di venture capital e i business angel, possono utilizzare gli SFP, specialmente nella forma con diritto di conversione in equity per finanziare startup e PMI innovative. Questo permette loro di entrare nel capitale in una fase successiva, a una valutazione più definita, beneficiando nel frattempo di eventuali diritti patrimoniali o di forme di controllo leggero.
  • Nelle situazioni di crisi o di ristrutturazione del debito, gli SFP possono rappresentare uno strumento prezioso per coinvolgere nuovi finanziatori o per convertire crediti esistenti (ad esempio, da parte di banche) in strumenti semi-equity. Ai sottoscrittori di SFP possono essere offerti diritti patrimoniali legati al successo della ristrutturazione e specifici poteri di influenza o monitoraggio sulla gestione, finalizzati a tutelare il loro investimento e a garantire l’attuazione del piano di risanamento.

Vediamo ora alcuni esempi di scenari tipici di ricorso agli Strumenti Finanziari Partecipativi che possono coinvolgere diversi tipi di imprese.

Per le startup innovative in fase seed e early-stage

Validazione dell’idea di business: raccogliere capitali da early investors per completare lo sviluppo e avviare la commercializzazione senza cedere immediatamente quote di controllo.

Attrazione di investitori strategici: business angel o advisor possono partecipare all’azienda senza acquisire poteri di governance, ottenendo uno sconto sulla futura valutazione dell’azienda.

Per PMI in fase di crescita

Raccolta di capitale: finanziare progetti di espansione senza appesantire l’indebitamento bancario.

Premialità su performance: legare la remunerazione al raggiungimento di risultati, fidelizzando investitori e manager.

Per aziende consolidate

Piani di incentivazione: permettono di coinvolgere manager e dipendenti nel capitale di rischio con formule flessibili.

Progetti spin-off: si possono emettere SFP legati a specifici progetti o nuove business unit, isolando il rischio e remunerando gli investitori in modo correlato all’andamento del singolo progetto.

Soprattutto nei casi in cui non è necessario proporre gli SFP solo a investitori strategici mirati, per qualsiasi tipologia di impresa può essere utile collocare questi strumenti attraverso campagne di crowdfunding su piattaforme autorizzate, per incontrare una più vasta platea di investitori e avere un supporto operativo, ma anche più flessibilità nella configurazione dello strumento rispetto a una normale campagna equity o lending.

Come abbiamo spiegato nell’articolo sulle differenze tra Strumenti Finanziari Partecipativi ed equity crowdfunding, peraltro, queste due modalità di raccolta di capitali si possono anche combinare tra loro.

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